I - Il "Nano Battente"
Un tempo la magia e la tecnica riuscivano in armonia ad offrire opportunità sempre diverse per plasmare il mondo che ci circonda; oggi quello a cui assistiamo è una rivoluzione in cui, al contrario, siamo noi a doverci plasmare intorno ad un mondo sempre più claustrofobico e stridente, contaminato da forze oscure di cui non abbiamo il controllo.
O. Pidge, Nuovo Mondo, Biblioteca Centrale CdS
Ki-do dovette farsi violenza per non lasciarsi andare a un lunghissimo sospiro. Erano decenni che non gli capitava una mattinata così caotica. Ben venisse quell’affollamento nella sua bottega, naturalmente! Ottima situazione per gli affari, ma non poteva capitare in un momento peggiore. Lasciando momentaneamente i clienti a curiosare fra le sue creazioni esposte, il nano si ritrasse nel retro, dove la sua fucina stava funzionando a pieno regime, il grosso mantice azionato da uno degli Omuncoli. La temperatura bastava per farlo sudare senza che avesse ancora imbracciato i suoi attrezzi.
«Dunque» si rivolse alle due piccole figure sull’attenti davanti a lui «Mi dicevi che sei autodidatta». La più alta delle due, che pure non arrivava al metro, annuì vigorosamente e gracchiò: «Sissignore. Io impara da solo, sissignore. No maestri. Io bravo con mie zampe. Piccole zampe di coboldo, buone per lavoro con ingranaggi!».
Sventolò le dita verso l’alto, come a suonare un organo invisibile, prima di continuare, senza smettere di gesticolare e muoversi, sottolineando ogni parola con l’intero corpo.
«Io viene da deserto, grande colonia. Mio padre fa guaritore e vuole che io anche, ma io no capisce nulla di erbe e medicina. Però io bravo con rotelle e bulloni. Io mette in viaggio e fa tanti lavori, lavora per mercanti e fa tanti acchiappa-ladri, poi lavora per ladri e fa tanti mangia-luce, poi lavora per chiromante e fa macchina di fumo per effetto mistico…»
Il piccolo coboldo fece una pausa a effetto, che durò nei fatti poco meno di due secondi, e riprese a vomitare il suo fiume di parole. «Poco tempo fa chiromante muore – lei vecchia – e povero Kattegat no ha più lavoro! Allora io mette in viaggio di nuovo e arriva a Rockstead e vede grande bella bottega con nano che lavora su insegna e pensa “Ah-ah! Io può lavorare per ‘Nano-che-batte’!”, e così io entra qui e chiede lavoro!»
«“Nano Battente”» corresse Ki-do a denti stretti «Il “Nano che batte” non… Capisci, vuol dire… un’altra cosa».
«Oh, perdono, perdono» il coboldo si inchinò profusamente due volte «Kattegat impara Comune da solo, come tutto resto. Io impara cose molto veloce! Tu insegna me?».
Ki-do soppesò la creatura, squadrandola da capo a piedi – muso allungato, da rettile, ricoperto da squame color sabbia, gli occhi giallastri venati di un rosso brillante, zampe artigliate e allungate, gli unghioni che stridevano sul pavimento di pietra quando si muovevano. L’apparenza del coboldo lo lasciava perplesso. C’era qualcosa di… fastidioso, in lui, qualcosa che lo aveva spinto ad assumere un’espressione accigliata sin dal primo momento in cui aveva aperto bocca: forse era l’aria di frenesia costante, oppure il cipiglio di curiosità sfrenata. Sembrava essere tremendamente rumoroso, persino ora che aspettava in silenzio una risposta. Ecco, se c’era qualcuno che sembrava in grado di emanare un continuo borbottio pur senza emettere un singolo suono udibile era proprio questo…
«Kattegat, hai detto?»
«Sissignore, Kattegat, sissignore. E questa è Theresa» annuì il coboldo indicando la sua compagna, alta all’incirca la metà.
Ki-do aveva cercato di ignorarla fino a quel momento. I nani sono bravi a ignorare i problemi finché non c’è più bisogno di affrontarli. Di solito basta evitare di dire le cose a voce alta.
Si girò verso la scimmia. Questa gli sorrise, come solo le scimmie sanno fare.
«Theresa» l’espressione accigliata si accentuò. «E dove l’hai…?»
«Chiromante» l’anticipò il coboldo. «Theresa no ha nessuno dopo che chiromante kaputt, così io presa con me». La piccola scimmia cappuccina strillò e imitò gli inchini di Kattegat.
Ki-do decise di tornare a ignorarla e riportare la conversazione su binari che conosceva. Il coboldo era strano – strano per davvero – ma l’artigiano in lui era incuriosito, suo malgrado, dalla sua presentazione.
«Beh, Kattegat. Gli aiutanti non mi mancano, come vedi» fece un ampio gesto verso la fucina in funzione e gli Omuncoli di ferro al lavoro. «Non hanno bisogno di riposo e non hanno bisogno di paga, non mangiano cibo e non bevono acqua. Serve solo manutenzione e una riparazione ogni tanto».
Il coboldo sembrò afflosciarsi. Ki-do lo lasciò cuocere nella delusione per qualche momento.
«Quello che non hanno» si affrettò a continuare non appena vide che Kattegat stava per aprire bocca di nuovo «è inventiva. E mi sembra che tu ne abbia: cosa diavolo sarebbe un mangia-luce?».
La piccola creatura si illuminò e iniziò a rovistare nello zaino che si portava appresso, grande quasi quanto lui stesso. Ne tirò fuori una sfera di metallo delle dimensioni di un’arancia, con un taglio che la divideva in due metà esatte, e la offrì a Ki-do. Il nano la prese, con onesta curiosità. Ebbe appena il tempo di registrare la sensazione del metallo freddo e liscio sul palmo prima che Kattegat afferrasse una delle due metà e la facesse scorrere sull’altra con un clic metallico. La sfera si aprì di un paio di centimetri e fu subito buio. Un buio totale e terrificante. Un buio così assoluto era un’esperienza nuova per i suoi occhi nanici. Ancora una volta gli mancò il tempo di reagire, poiché dopo un altro piccolo clic l’oscurità si dissolse e la fucina riprese il suo bagliore, inalterata. Ki-do si ritrovò a boccheggiare.
«Però…! Che invenzione… ehm… curiosa. L’hai fatta tutto da solo?»
«Sissignore, tutto solo, sissignore» gongolò Kattegat, gonfiando il petto «Io la chiama “Alfred”».
Niente male, pensò fra sé il nano. Nonostante tutto, il coboldo l’aveva colpito. Non tanto per la parte meccanica – anzi, il metallo era scadente e la forma non perfettamente regolare – ma per il fatto che la sfera era chiaramente stata incantata. Se il coboldo era in grado di usare la magia, le cose cambiavano. Faceva sempre comodo avere in giro per la bottega qualcuno in grado di incantare i pezzi. Recuperò in fretta il contegno e si accarezzò la folta barba, pensoso.
«Facciamo così» disse cautamente «Proviamo a vedere come va per qualche giorno».
«GRAZIE SIGNORE!» strillò Kattegat a pieni polmoni, lasciandosi andare a un breve balletto vittorioso, mentre Theresa gli si arrampicava sulle spalle e gli mordeva affettuosamente le corna.
«Non ti offrirò una paga per questo periodo, ma ti pagherò i pasti e potrai dormire in bottega» cercò di mettere in chiaro le sue condizioni, alzando la voce per sovrastare gli strilli dei due esserini.
«Io comincia subito! Cosa deve fare?»
Ki-do lo ammonì burberamente: «Qui c’è da faticare, ti avverto. Lavorare nella mia bottega non è una passeggiata. Comincia a mettere un po’ di ordine qui dentro. E non stare in mezzo ai piedi degli Omuncoli!». Si voltò per uscire, poi si trattenne ancora un istante.
«E perché tu lo sappia» tornò a rivolgersi al trepidante coboldo e mentì «so esattamente cosa c’è qui dentro. Non ti venga in mente di far sparire qualcosa».
«No no no no no no no» scosse vigorosamente la testa Kattegat «Io è bravo coboldo, io no prende nulla». Theresa, ancora appollaiata sulla sua testa, mostrò i denti a Ki-do.
Il nano alzò le mani: «Ti ho avvertito». Si tuffò in bottega.
«E grazie ancora per esserti servito da me» Ki-do salutò l’uomo che aveva finalizzato il suo acquisto con un cenno del capo e spostò la sua attenzione verso i tre soggetti che rimanevano nella stanza. Mentre uno non lo aveva mai visto prima e sembrava perso nella contemplazione di alcune balestre esposte, gli altri due gli erano familiari. Kento e Odine. Il primo poteva attendere, la seconda – Ki-do sospettava – non ne era capace; perciò, dopo un sorriso al vanara dalla pelliccia candida, che lo ricambiò sinceramente, si rivolse alla ragazzina dai capelli rossi.
«Qual buon vento, Odine? Qualche ordine da Città del Sole?» chiese col solito pragmatismo.
«Salve, Ki-do! Nessun ordine ufficiale rispetto al solito» Odine sorrise sorniona, le palpebre appesantite dal trucco che le adornava il volto. Ki-do non l’aveva vista mai senza la faccia colorata da questo o quel pigmento, in disegni originali che il nano non aveva visto mai altrove e che pensava avessero un qualche retaggio culturale delle città umane più antiche, come appunto la capitale di quello che era stato il loro regno. Quel giorno sfoggiava un pattern blu e bianco che le copriva occhi e zigomi.
«Passavo da queste parti e mi sono detta “perché non andare a trovare il mio artigiano preferito?”»
«Troppo buona» la guardò Ki-do dal basso, con un sorriso sincero ma cauto. «Posso fare qualcosa per te?»
«Beh, già che sono qui, non mi dispiacerebbe un potenziamento…» il sorriso di Odine si allargò e, forse per via delle ombre che il trucco le disegnava sul volto, un’aria di furbizia l’attraversò. Con un rapido movimento del polso, la ragazza estrasse la lancia corta che portava dietro la schiena e la roteò – due o tre volte più del necessario, secondo Ki-do – fino a che la coda di una lancia lunga non batté per terra, la punta che quasi sfiorava il soffitto. Il nano prese rispettosamente in mano l’arma, orgoglioso della sua arte nonostante la presentazione vistosa di Odine.
«Te ne prendi ottima cura, vedo».
«Naturalmente» annuì Odine «È la mia arma preferita, non me ne separo mai».
Ki-do la restituì alla ragazzina e sospirò, preparandosi a una conversazione difficile e gettando uno sguardo di sottecchi al cliente sconosciuto che ancora esaminava le balestre. Abbassò un poco la voce: «Prima che tu mi dica cosa avevi in mente, ti devo avvertire: non potrò mettermi al lavoro prima di almeno due settimane».
Odine rimase interdetta: «Due settimane? Sei così pieno di lavoro? Andiamo, sono sicura che un po’ di tempo da dedicarmi lo puoi trovare».
«Non è il tempo che mi manca» il nano scosse la testa «Sono i materiali».
La ragazzina fece uno sbuffo di incredulità: «Un artigiano senza materiali, questa sì che è bella».
«Che tu ci creda o no, sono quasi tre settimane che sto aspettando un carico di carbone da Keldûm. Ho giusto ciò che basta per finire alcune commissioni, non voglio farti una promessa che…» il resto della frase annegò nell’improvviso clangore metallico proveniente dalla fucina.
Ki-do alzò un dito verso Odine in un gesto che le chiedeva un istante di pazienza.
«Scusami un attimo» disse a denti stretti, e si precipitò nel retrobottega.
Si ritrovò davanti Kattegat che con una zampa cercava di tenere lontano un Omuncolo, mentre con l’altra teneva fuori dalla sua portata un vasetto della sua preziosa polvere nera.
«Che diavolo stai facendo?» gli chiese con veemenza, intervenendo e strappando la polvere dalle zampe del coboldo.
«Io mette in ordine, come tu detto me» Kattegat assunse un’espressione contrita, sporcata da una certa irritazione verso l’Omuncolo, che aveva ripreso a fare il suo lavoro non appena la polvere era tornata nelle mani del suo padrone.
«Questa era in ordine, non la devi toccare» Ki-do puntò un dito ammonitore verso il coboldo e poi spostò lo sguardo verso i ripiani. Perse un po’ di colore.
«Hai messo mano agli scaffali» esclamò «È tutto fuori posto, adesso! Zolfo e polvere d’argento sono scambiate, hai mischiato le barre dei metalli e… hai rimesso tutto in ordine di altezza, non è vero?».
Il coboldo trascinò un po’ i piedi, leggendo il disappunto sul volto di Ki-do.
«Sissignore, tutto da più alto a più basso, sissignore…» mugugnò.
Ki-do trattenne un sospiro esasperato. Era passato dall’avere una fucina solo vagamente disordinata al dover rimettere al suo posto quasi ogni singola cosa. Afferrò una scopa da un angolo della stanza e la schiaffò in mano al coboldo.
«Fila di là, spazza per terra. E non disturbare i clienti» sibilò.
Kattegat lo precedette in bottega. Il nano cercò Kento con lo sguardo, con un sorriso di scuse, promettendogli mentalmente di dedicargli al più presto un po’ della sua attenzione. Il vanara annuì con pazienza. Ki-do fece per tornare da Odine, scuotendo la testa, ma il cliente interessato alle balestre gli si parò davanti.
«Scusi, avete qualcosa di meno pesante?» gli si rivolse, con voce leggermente strascicata, indicando le armi esposte dietro le sue spalle. Ki-do sollevò un sopracciglio, esaminando il muro indicato.
«Quelle sono balestre pesanti. Quelle leggere sono da quella parte, e laggiù ci sono quelle che si operano con una sola mano».
Il cliente scosse la testa. Il colore verde-azzurro della sua pelle ricoperta di piccole scaglie denunciava il suo sangue draconico, se le ali ripiegate sulla schiena e coperte da un mezzo mantello di un rosso vivo non lo facevano a sufficienza.
«Ho presente la differenza. Non parlavo di meccanica, ma di estetica. Avete qualcosa di più… elegante?»
Il sopracciglio di Ki-do non poteva salire più di così.
«Se non le piace il design di quelle, posso farle qualcosa di più personale, certamente. Al momento però i tempi di attesa sono abbastanza lunghi».
«Di quanto tempo parliamo?»
«Almeno due settimane».
«Due settimane? Non so se posso permettermi due settimane di attesa. È proprio sicuro che non abbiate nulla di già pronto che sia più raffinato di questa roba qui?»
I clienti non devono piacermi per forza, si disse mentalmente Ki-do, cercando di mantenere un’aria diplomatica.
«Questa roba» sorrise faticosamente «è artiglieria di prima classe. Mi dispiace che non abbia trovato qualcosa di suo gusto, sono disposto a realizzare una balestra per lei, ma non prima di due settimane».
Ignorò il rumore della porta che si apriva, almeno finché non udì la voce di Kattegat gracchiare «Benvenuto a “Nano-che-batte”!» e si affrettò a correggere, voltandosi verso l’ingresso: «“Battente”! Benvenuto al “Nano Battente”!».
La figura stagliata sulla porta lo sorprese. Un nano, cosa che non era inusuale di per sé. Un nano con le insegne dello Shogunato di Kald, un Inquisitore, il che era abbastanza inusuale. Un nano del feudo di Azanul, e questo era più inusuale del resto.
«Salve» Ki-do non perse la compostezza nonostante tutto, e fissò l’Inquisitore negli occhi grigi. Tornò a rivolgersi al cliente delle balestre. Che l’Inquisitore fosse lì per affari o per dovere, avrebbe atteso.
«Come dicevo, due settimane per un lavoro su commissione. Lo stavo spiegando anche alla signorina, non ho sufficiente carbone per portare avanti i lavori. Sono giusto in partenza per Keldûm nel tentativo di rintracciare la fornitura in ritardo».
«Questo non me lo avevi detto» Odine, chiamata in causa, si avvicinò.
«Non ho fatto in tempo, il signor…»
«Può chiamarmi Claudius» fece l’uomo dal sangue draconico, inclinando la testa e portandosi brevemente la mano alla tesa del berretto in un cenno di saluto.
«Il signor Claudius ha richiesto la mia attenzione prima che potessimo riprendere la conversazione».
«Quando intendi partire?»
«Domani».
«Rimane la mia questione» Claudius si aggiustò i polsini ricamati della camicia «Non credo di poter attendere due settimane».
Odine gli si rivolse, con il solito sorriso furbo e un occhiolino a Ki-do: «Se posso intromettermi, Ki-do è il miglior costruttore di armi nel territorio degli Artigli. Lo posso testimoniare in prima persona. La lancia che ha fabbricato per me non ha pari. Due settimane valgono l’attesa, se le faranno avere una balestra ideata da lui».
«Lo conosci da molto?» Claudius incrociò le braccia davanti a sé.
«Un paio d’anni. Sono una cliente soddisfatta e un’agente commerciale, se Ki-do permette» il sorriso di Odine si allargò, mentre Ki-do veniva messo davanti al fatto compiuto. Non diede a vedere la sua perplessità mentre la ragazza continuava.
«Ecco la mia proposta: lei aspetta due settimane, mentre io e Ki-do recuperiamo i materiali, e le disegnerò personalmente una balestra degna del suo stile».
«Se avete posto per un altro, mi aggiungo volentieri alla spedizione» Kento intervenne per la prima volta ad alta voce, una voce più decisa e allo stesso tempo tranquilla di quello che ci si poteva aspettare dalla sua apparenza selvaggia di primate antropomorfo. Si rivolse a Ki-do, e dalle sue parole l’artigiano si accorse che il vanara stava ascoltando da molto prima di quanto sembrasse: «Passavo anche io da queste parti e ho pensato di fare un saluto, ma se posso sono felice di aiutarti, Ki-do».
Ki-do guardò il volto aperto dell’amico. Si erano rivisti appena qualche giorno prima, dopo mesi. Se si fosse trattato di qualunque altra persona, i suoi sensi di nano lo avrebbero messo sulla difensiva. Ma si trattava di Kento, e Ki-do sapeva che non aveva nulla da sospettare.
«Tre sono meglio di uno. Non rifiuterei mai la tua compagnia, amico mio» rispose burberamente il nano.
«Allora» riprese Odine, rivolta a Claudius «che ne pensa?».
Uno scintillio attraversò gli occhi dell’uomo alato, mentre si posavano su Kento.
«Penso che accetterò. E che verrò con voi. Se devo attendere che l’arma sia pronta, impiegherò il mio tempo dove posso controllare che la lavorazione inizi il prima possibile. Inoltre, non posso rinunciare all’occasione di conversare con una compagnia interessante».
«Beh» Ki-do si schiarì la gola «allora è deciso. Prenderemo domani il traghetto del tardo pomeriggio».
«Magnifico!» Odine gli fece un altro occhiolino, mentre Kento faceva un piccolo cenno di assenso col capo.
«Ora, se non c’è altro…» Ki-do fece per rivolgersi all’Inquisitore che attendeva poco distante, esaminando alcune rastrelliere con la merce esposta, ma “altro” avvenne nell’istante successivo. Ancora una volta dal retrobottega giunsero rumori molesti e strilli animaleschi.
Ki-do fulminò Kattegat, che lo fissò di rimando.
«Dov’è la tua scimmia?» gli chiese a denti stretti. Il coboldo non rispose, ma assunse un’aria colpevole.
Ki-do si precipitò in fucina, tallonato dal piccolo Kattegat.
«Che diamine… sono feci, quelle?»
Theresa strillava come impazzita, lanciando verso gli Omuncoli… materia marrone.
«Assolutamente NO» gridò Ki-do. Con una mano afferrò Kattegat, con l’altra la scimmia recalcitrante e sbottò: «Scordati di lavorare qui, razza di piccolo straccione!».
Trascinò le due creaturine contrariate fino alla porta della fucina e le sbatté fuori dal retro.
«E non azzardarti a tornare!» urlò a pieni polmoni.
Rientrò in fucina, e non sapeva se il caldo che sentiva era causato dalla fornace o dalla rabbia.
Comandò a uno degli Omuncoli di ripulire il disastro causato dai due imbecilli.
Incredibile! Che razza di gente.
«Giornataccia?» chiese l’Inquisitore a Ki-do nella loro lingua madre, leggendo la sua espressione corrucciata.
Odine se n’era andata per prima, tutta presa dai preparativi per la partenza dell’indomani. Claudius si era trattenuto per un po’ a parlare con Kento, interessato al vanara in una maniera che Ki-do avrebbe trovato fastidiosa, se quelle attenzioni fossero state rivolte a lui, poi i due si erano allontanati per prepararsi a loro volta, lasciando l’artigiano solo con l’Inquisitore.
«Solo una giornata intensa» rispose Ki-do nella stessa lingua «A che devo la visita di un Inquisitore dello Shogunato?»
«Siete piuttosto famoso, da queste parti. Parlano bene della vostra arte. Speravo di potermi armare con una delle vostre creazioni».
«Ma certamente. Avete già in mente qualcosa?»
Venne fuori che non proprio. La seguente mezz’ora passò con l’Inquisitore che chiedeva di vedere questa o quell’arma, l’artigiano che faceva vedere la selezione delle armi del tipo richiesto per poi trovarsi a cambiare totalmente strada. Alla fine, dopo che un martello e un randello vennero brevemente presi in considerazione, la scelta ricadde su una morning star dallo stile pulito, senza tanti abbellimenti.
«Grazie per la pazienza» disse l’Inquisitore mettendo mano al borsello «Mi piace esaminare tutte le mie opzioni». Ki-do finì di accorgersi della sua giovane età.
«Figuratevi. Sono qui per questo».
«Mi dispiace per il disguido con il carico in ritardo».
Ki-do scosse le spalle: «Che volete farci? Domani cercherò di fare un po’ di luce sulla situazione. Agli dèi piacendo, tornerò col mio carbone prima del previsto».
«In effetti, forse qualcosa potrei fare» il giovane Inquisitore si assicurò il nuovo acquisto alla cintura. «Magari potrei fare un salto al Consolato, come prima cosa domattina, e vedere che voci arrivano da Keldûm. Se il vostro carico è il solo a essere fermo dovrebbe essere più facile rintracciarlo, mentre se le forniture sono in ritardo per qualche motivo esterno può esserle utile saperlo in partenza».
Ki-do rimase interdetto. «Non vorrei esservi di disturbo con questa faccenda…»
«Nessun disturbo. Vi faccio questo favore volentieri».
«Insisto, non scomodatevi solo per me».
L’Inquisitore sorrise. «Lo considerereste ancora un incomodo, se vi chiedessi in futuro un favore in cambio?»
Si scambiarono un cenno di intesa e una stretta di mano, da nano a nano, la pelle colorata dal calore dalla fucina che contrastava con quella cinerea del soldato.
Quando Ki-do si trovò a chiudere la bottega, quella sera, un misto di soddisfazione per i buoni affari della giornata, irritazione per il comportamento indegno dell’idiota con la scimmia e trepidazione per l’indomani, quasi gli impedirono di prendere sonno. Quasi. Il pragmatismo dei nani a volte fa comodo.